Non capisco perchè per la maggior parte della gente invecchiare sia una faccenda così maledettamente difficile. 
Non ho intenzione di dire che sia piacevole o che ogni età abbia le sue gioie o che la saggezza ricompensi ampiamente la perdita di elasticità della pelle, no, ovviamente no. 
E l'esperienza, semmai, è un tesoro squisitamente individuale. 
Quello a cui i vecchi non si rassegnano è l'invisibilità agli occhi dei giovani. Loro, che dentro sono ancora il maschio alfa con muscoli guizzanti e le femmine dal manto più lucido, loro non lo capiscono perchè i giovani non pendano dalle loro labbra, sebbene dalla loro bocca escano cose così interessanti e pregne.  In fin dei conti è cosa nota il fascino dei capelli brizzolati o di una tinta fatta bene, manca poco che non adottino un divisa come abbigliamento, da generale o da infermiera. 
Non c'entra nulla la paura della morte, quello che le persone non accettano di buona grazia è la perdita del loro ruolo sessuale: guardateli. Sono come le bruttine costrette a fingere tutta la vita di considerare le integrali l'unica cosa degna di attenzione e che si tradiscono con quell'improponibile ombretto azzurro e quel foulard vezzoso.
I maschi si aggrappano come bradipi al luogo comune che il potere sia afrodisiaco e si sforzano di emanare la sua impalpabile aura. Giorni fa uno stimato ed attraente signore complimentandosi per un lavoro con una tirocinante ventenne ha sentito il bisogno di aggiungere "e sia chiaro, non ti sto corteggiando". Se n'è andato compiaciuto dell'imbarazzo della ragazza: avesse capito che l'imbarazzo era per lui forse non avrebbe tenuto la pancia così in dentro, allontanandosi.

Sempre più spesso invoco la venuta di un nuovo Erode che stermini tutti questi dannati bambini interiori, che stani ogni maledetto Piccolo Principe, che sciolga nell'acido Peter Pan. 
Sogno un feroce re che smascheri ogni loro memoria ambigua, che gliela strappi di dosso e li lasci morire di freddo, che li ingozzi con i loro falsi sogni fino a vederli scoppiare, che li ricopra con la loro stessa melassa e li faccia divorare dalle formiche. 

Una mia cugina racconta che le mie zie da giovani erano convinte di essere le più belle e le più intelligenti del paese. Non erano tempi in cui i genitori si preoccupassero molto di incentivare l'autostima dei figli, non erano tempi facili in generale e non lo erano per la famiglia di mio padre, povera e numerosa. Nessuno di loro aveva talenti particolari e si arabattavano tra campagna (altrui) e fabbrica. 
L'autostima, termine allora sconosciuto immagino, non era un'ossessione per nessuno; eppure le mie zie sfilavano per il paese dritte come un fuso ed orgogliose come regine.  Si portavano dietro con grazia la fama immeritata di essere altezzose, mentre in realtà erano emotivamente autosufficenti e vitali. 
Che nella famiglia ci fosse una vena di stramberia che saltellava qua e là tra le generazioni era risaputo ed accettato, "matta come un cavallo" era un attributo che veniva usato con la stessa disinvoltura di "rossa di capelli".
Le zie erano infallibili a riconoscere le cifre di famiglia dei neonati.

Non sono un tipo da promesse, non ne faccio e non ne chiedo mai. La gente promette facilmente, adora sentire la propria voce che dice solennemente te lo prometto, c'è un attore in pectore in ognuno di noi ansioso solo di dimostrarsi all'altezza; ma poi le circostanza i distinguo il non potevo immaginare.  Le cose cambiano, le persone cambiano, e c'è qualcosa di ottuso e patetico in chi non sa tenerne conto. E' tutto molto ragionevole. 
Quasi devi consolare chi non ha potuto mantenere le promesse, sul serio non importa, certo che non è colpa tua, ma figurati. 
E capisco quanto deve parere ridicolo il concetto di onore a chi l'ha sostituito con quello di dignità, che è autoreferenziale, un'asticella che ognuno alza ed abbassa a suo piacimento e nessuno può avere nulla da obiettare, anzi, se ti distrai, alzano ed abbassano anche la tua, e poi ti dicono salta. 
L'onore implica gli altri, gli impegni, le promesse, i doveri. Certo che il marito che ammazza la moglie perchè l' ha disonorato è un'aberrazione, qualunque meccanismo sociale può sfociare in aberrazioni

Anche se non ho mai creduto in nessun tipo di aldilà ho sempre parlato con i morti.
La prima è stata una bambina di dieci anni morta di leucemia, Katia.  Non era mia amica, non la conoscevo nemmeno; era la figlia di un maestro e portarono tutta la scuola al funerale e ci fecero sfilare davanti alla bara aperta.
Lei era bellissima, bianca e diafana e con i capelli rossi sciolti sul cuscino, e sarei rimasta a contemplarla a lungo se me lo avessero permesso. 
Da quel momento, parlare con qualcuno che aveva un aspetto così bello ed intatto e silenzioso mi sembrava, a suo modo, molto confortante. Non ricevevo nè mi aspettavo risposta, non pensavo potesse vedermi o sentirmi, nè tantomeno avere un ruolo nella mia vita, mi piaceva parlarle, tutto lì.
La cosa si è ripetuta molte altre volte. Non c'è un criterio preciso, non parlo con i morti che da vivi mi erano particolarmente cari ad esempio o che sono morti in un certo modo o ad una certa età. Non ci sono nemmeno argomenti preferiti, o momenti particolari. 
E' solo che di tanto in tanto parlo con i morti.

Chissà perchè non capita mai una persona che dice oh, io sono egoista, insensibile ed anche un po' ipocrita e non mi spregio di essere opportunista, di tanto in tanto; inoltre nei test che animale sei? risulto paguro.
Forse questa faccenda dell'autostima non mi sembrerebbe la pagliacciata che mi sembra se mi succedesse di incontrare qualcuno che non fosse intimamente convinto di essere meglio di una velina, troppo sincero, troppo altruista, troppo ingenuo. 
Che poi non capisco: autostima dovrebbe significare valutazione che una persona fa di se stessa, no? Ed uno sarà pur capace di valutare i suoi risultati da solo.  E sarà la persona più adatta a verificare se i suoi obiettivi sono stati raggiunti, i suoi principi rispettati eccetera eccetera; se uno ha bisogno che siano gli altri a dirgli brava cleo, che brava, brava, magari c'è qualcosa che non funziona.  
Non che io neghi l'importanza del feed back, intendiamoci, è solo che mi pare che la gente adotti dei criteri un po' illogici. 
Poniamo che l'approvazione altrui dipenda da quanto impiego a correre i 100 m; intanto dovrei decidere se a me importa di correrli ed in quanto. Se mi importa e lo faccio ed il risultato è bradipo, che c'entra l'autostima? Perchè devo frignare che nessuno mi chiama freccia? 
Non mi irrita il concetto di autostima, mi irrita che le persone sottindendano sempre alta autostima e che la considerino qualcosa di simile all'anima, che tutti devono avere per il solo fatto di esistere. Conosco un sacco di persone la cui bassa autostima denota se non altro una certa oggettività di giudizio e ci andrei anche cauta con questa fissazione di curarla come fosse una malattia. 

Ogni mattina scrivo alla luce dello schermo e con il caffè accanto e forse preferirei il foglio e l'inchiostro verde ma ho perso l'abitudine, però mi sono affezionata anche a questa pagina bianca e pazienza per le mie f lunghe come giraffe e le g che si tuffavano.
Scrivo segreti perchè viene un momento in cui ti accorgi che le cose che non vuoi o puoi dire agli altri sono molto di più di quelle da dire, forse queste ultime sono state usurate dall'abuso o semplicemente sono finite.
Scrivo storie senza capo nè coda e scrivo di persone che un po' esistono ed un po' no, ho scritto anche di quel rumore che mi inseguita per anni ma poi per fortuna è cessato, ed all'inizio facevo molta attenzione a non usare quelle parole spinose ma poi sono lentamente scomparse da sole e non ci ho più badato.
Io sono una solitaria, lo so, e non do il meglio di me stessa quando voglio fingere che non sia così.  Temo la prepotenza dei bisogni altrui perchè io non so usare i miei per catturare

E mi dicevo che è vero, che bisogna saper scegliere in tempo e non per una qualche legge morale bensì perchè la scelta rende prezioso ciò che si è scelto ed anche ciò a cui si è rinunciato. Bisogna scegliere quando ancora tutto è intatto, desideri , pensieri e passioni e sì, anche il dolore, prima che tutto si sflilacci in un melenso senso di impotenza o, peggio, di senso del dovere. 
Bisognerebbe avere cuore ed intelligenza prima ancora di coraggio, non cedere alla tentazione dell'ambiguità dei finti sentimenti, quelli a metà, inoffensivi, tirchi. 
Si dovrebbe scegliere la propria vita senza diventare cani uggiolanti o trasformare gli altri in alibi contorti come rami secchi, sarebbe una vita migliore, comunque andasse. 

Pensavo ieri che tutto si riduce alla paura della solitudine e che probabilmente è per questo che io non capisco quasi mai le persone, perchè gran parte di ciò che fanno è la conseguenza di questo loro spettro. 
Io ho sempre pensato che le passioni siano antitetiche ai bisogni, un po' come dire che se hai fame non puoi essere un raffinato gourmet e ti getterai sul primo pezzo di pane che trovi, ovviamente. 
E quello che trovo spesso spregevole è come poi l'affamato sia disposto a svilire quel pane, quasi a scusarsi di averlo mangiato, di come ti dica che era insipido e raffermo e si affretti a togliersi furtivo le briciole dalle labbra. 
Io rispetto le passioni, quelle irrazionali e perfette che ti fanno compiere anche azioni avventate, ma detesto quel rubacchiare pretendendo contemporaneamente di essere persone perbene. Posso capirlo, ma mi imbarazza. 

Secondo me la questione delle responsabilità si riassume in tre punti.
A) ognuno decide da solo quali siano le sue responsabilità;
B) una volta stabilito che qualcosa è di sua responsabilità, ognuno decide da solo se vuole o non vuole assumersela;
C) il più importante: qualunque sia la sua decisione in merito alle opzioni del punto B, non rompe le scatole agli altri.