Il sole – un colore indefinito – era l’unico diversivo di quel cielo terso che galleggiava sopra il campo. Non restavano molte altre forme di vita in giro per quella desolata landa. Un ruscello passava di fianco il campo recintato del signor Ravel (contadino). Lo stesso signor Ravel era preso dal suo lavoro. Erano le 3 pomeridiane: l’ora adatta per la coltivazione. Il signor Ravel prese la zappa e cominciò ad assestare colpi ben calibrati al terreno sotto di lui – alle sue spalle la casetta sembrava sudare come tutti gli oggetti. Il signor Ravel era stufo di sentirsi chiamare “il signor Ravel” da chiunque fosse: postini, ferrovieri, politici, spazzini, contadini, nipoti, fabbri, falegnami, fruttivendoli, scrittori o studenti di sociologia. Il signor Ravel – spazientito, povera anima – continuava imperterrito il suo lavoro. Si sentiva solo, il signor Ravel. Nell’altra estremità del campo si stagliava una figura eretta: uno spaventapasseri.
Il giorno dopo la semina – quella che aveva fatto il signor Ravel il giorno prima – aveva dato già i suoi frutti. Il campo divenne pieno di spaventapasseri.