Mi piacciono da morire queste giornate di pioggerella.  Credo che il mio primo fraintendimento con la gente sia stato sul clima, è brutto tempo oggi dicevano, ed io guardavo dalla finestra l’acqua cadere e pensavo ma come, ma se piove! Preferivo la pioggia al sole anche da bambina, e l’inverno all’estate, o se non altro il tardo autunno. I miei ricordi belli hanno tutti odore di legna, fuoco, e quello particolare delle foglie cadute. L’estate era qualcosa che strisciava lenta e maligna come in un libro di Stepghen King e non c’era altro da fare se non cercare di sopravviverle.  La mia prima poesia l’ho scritta a 7 anni con un bastoncino di rametto di ciliegio dietro delle foglie di lillà, una parola per foglia, il che dimostra che la mia manualità non è poi così disastrosa, ed inziava con  Non mi acciufferai tra le spighe.  Il mio primo anno di scuola mi ha portato numerosi inconvenienti e fastidi, ma nessuno in grado di offuscare la meraviglia dell’esistenza delle parole. Ce n’erano tante, tantissime. Più di quante avessi ai potuto immaginare. Erano dovunque, sul libri, nella bocca della maestra, sulla lavagna: e potevi prenderle. Non finiva di stupirmi questa cosa. All’inizio ero giustamente titubante, che ne sapevo io? Avevano tutti delle abitudini così strane che essere cauti era il minimo. Potevano essere di qualcuno, per quello che ne sapevo io, le parole. E magari si arrabbiava se le prendevo. O magari si potevano prendere a prestito e però bisognava restituirle entro una data come i libri della biblioteca anche se quelli era più facile capirlo perchè erano tutti foderati uguali di carta blu ed avvano un numero.  C’erano cose della scuola, a parte le parole dico, che apprezzavo molto, perchè una volta che le capivi rimanevano uguali.  In fondo all’aula c’era un banco con dei libri, e chi finiva i compiti assegnati prima degli altri poteva andare lì e scegliersene uno.  La pirma volta, dopo un paio di mesi di scuola, che la maestra mi ha sentito borbottare e mi ha chiesto che stai dicendo?, mi sono spaventata. Siccome era severa ma non cattiva però, alla fine ho recitato tutta la Cavallina storna a memoria, sperando che dio me la mandasse buona e che non avessi fatto qualcosa di irreparabile.  La maestra mi guardava e voleva sapere che altro avevo preso, ed ho recitato la pioggia nel pineto. Volevo dirglielo, che non volevo fare niente di male, che avrei voluto chiedere se potevo prenderle ma non sapevo come.  Volevo anche dirle che i disegni non li avevo nemmeno toccati, poteva controllare, e nemmeno i numeri..erano solo le parole che mi interessavano, ma non è stato necessario. Alla fine della scuola mi ha portata in Biblioteca, e mi ha detto che potevo portarmi i libri a casa.  no alla volta, e non dovevo rovinarli. E dovevo restituirli. E non dovevo nemmeno scriverci sopra.  Però se prendevo una parola me la potevo tenere.  Così ho scritto acciuffare su una foglia.