Del primo dell'anno mi è sempre piaciuto il silenzio. C'è un'atmosfera sospesa, come se dopo la catarsi della fine anche i più smaliziati e disillusi avessero deciso di concedersi il lusso della superstizione e della speranza.
Scandire il tempo in anni è un vizio umano, quasi si volesse offrire agli dei la possibilità di cambiare idea sulla nostra sorte ogni 365 giorni.
Da piccola pensavo che i riti propiziatori del 31 dicembre fossero un po' troppo sguaiati e che forse gli dei avrebbero gradito qualcosa di più ieratico che un consumo smodato di cibo ed alcol: le mani ed i menti unti non mi sono mai sembrati solenni, nella mia immaginazione gli dei erano magri ed avevano l'odore di qualche erba e non di crauti o cozze. Ero contenta che i miei si divertissero ma nello stesso tempo provavo un vago imbarazzo e mi scusavo con gli dei della loro semplicità.
Nei ritorni a casa infreddoliti pensavo al giorno dopo ed ai miei riti privati nella campagna gelata; la solitudine ed il silenzio erano elementi indispensabili di qualunque celebrazione, e così è rimasto.
Il primo dell'anno è un giorno di tregua.
Le persone ancora frastornate dall'illusione di un inizio tacciono. Io e gli dei ci riposiamo.