Cosa le potevi dire ieri, a Dolli? C’era questo grande quadro, un ingrandimento di una foto di matrimonio, e poteva sembrare un gesto gentile. Tutti questi empatici, tutti questi gentili: contro un muro con gli occhi bendati e forse non farebbero più danni. Non ci sarebbe voluto un genio a capire, ma non servirebbe mai un genio. Però c’è questa fissazione dei sensibili, che una volta all’anno devono tacitarsi la coscienza, e due volte all’anno dimostrare che non sono mica insensibili. Impacchettano i loro sensi di colpa e ti li portano, fieri, compiaciuti e aspettandosi riconoscenza. Se li ingoiassero, una buona volta, i loro sensi di colpa e ne rimanssero soffocati. Ma tanto mica lo sanno poi che quell’altra ha cercato di "disinfettarsi" con la varechina tutta la giornata.

Vado dai pazzi oggi. E’ strano come i miei primi sorrisi veri siano tornati pensando a questo posto. Come abbia lentamente dissolto tutta la melensaggine e la stucchevolezza. Come il peso delle ceste della lavanderia abbia piano piano sosotituito pesi immagnari ed insopportabili da portare. Come mi abbia curata il mio nome che risuona nei corridoi. Se fossi capace scriverei un bel post su tutto questo, ma non ne sono capace. Scriverei un’accozzaglia di banalità da Piccolo principe ed è proibito. Lentamente sono svaniti campi di papaveri ed altre metafore, sono svanite anche persone sì, sembra brutto a dirsi ma in fin dei conti non c’erano davvero nemmeno prima. Ogni tanto io e D. incrociamo lo sguardo e quelle figure del passato si intrecciano e si sposano e le laviamo via con il mio bagnoschiuma al gelsomino. Giochiamo alle signore, come diciamo ridendo.

Non è solo questo naturalmente. Nella vita non è mai solo questo, no? Ma i primi giorni, raggomitolata in un angolo nascosto a piangere, ero lo stesso fantasma che spolverava i libri qui a casa e che non vedeva niente se si guardava allo specchio. Adesso mi vedo cento volte al giorno nello specchio dell’ascensore e mi sembra perfino di essere bella.

Mio padre mi diceva giorni fa che non è mica ridicolo parlare ancora di onore. Che è quella cosa che se dai la tua parola gli altri sanno che la manterrai, tutto qui. Che non tradisci, non inganni e sei lì dove dovresti essere. Dice mio padre che quando sei molto vecchio come lui i conti li devi fare perchè non hai un altro posto in cui sfuggire, e che la morte non è altro che questa consapevolezza che non potrai più rimediare a niente. I tuoi errori smettono di sgusciarti tra le mani come trote e se ne stanno lì immobili e non puoi farci niente, se non contarli. Dice che ti accorgi che non erano mica tante le cose che contavano, nella vita, ma forse sono solo discorsi da vecchio. E’ come se i tuoi occhi non riuscissero più a fissare lo sguardo su te stesso, dice, come se vedessi la vita di un altro, ed allora non puoi più fare finta. Io ascolto parlare lui che ha 83 anni e daniele che ne ha 23 e la mia vita diventa un filo sospeso tra loro due. Penso alla famiglia insomma. Alla lealtà ed all’insegnare. A tenere quel filo teso ed intatto fino a quando toccherà farlo a qualcun altro.

Ci sono momenti in cui invecchiare, qui dentro, non mi fa paura.

Io di mio non amo il disprezzo, il disgusto. Questi sentimenti si addicono a pochissime persone ed io non sono tra quelle ma a differenza di molti altri so come mi stanno addosso e cerco di non indossarli. Per poterlo fare con una certo nobiltà bisogna essere persone con molte qualità, o anche con qualcuna solo.

Ma il disprezzo dell’uomo senza qualità è la mediocrità che morde se stessa e non è un bello spettacolo.

Ci sono parole che ho bandito dal mio vocabolario e parole che mi sono ripresa. Le prime sono come striduli rumori acquattati nel buio della cantina, pronti ad avvolgerti come sudari ed all’inizio sembrano quasi proteggerti ma poi ti uccidono. Ora quando le sento mi batte forte il cuore ed allora penso che sono come i campanelli dei monatti, che sembrano innocui e quasi dolci tintinnii ma che portano la morte. Sono le parole che ingannano con la loro inconsistenza vacua, slegate dai pensieri e dal cuore, scialate nei bar della mente e raccolte a notte fonda dal pavimento da una cameriera stanca ed annoiata.
Ma le altre sono tutto ciò che Sara ha salvato per tempo e sottratto alla furia ubriaca dei soldati. Sono parole capaci di incantesimi e di realtà, sono il pudore e la compassione e tutto quello che viene dal cuore. Sono le monete della gente d’onore che non incontreranno mai i prestigiatori ed il loro fascino effimero, le loro spade di cartapesta ed i loro trucchi senza dolore.